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Terremoto: intervento in Abruzzo (Maggio 2009)
Postato il di morang

Protezione Civile

TERREMOTO: INTERVENTO IN ABRUZZO

 
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Nella notte del 5 aprile dopo più di 4 mesi di scosse più o meno forti, un tremendo terremoto ha sconvolto l’Abruzzo distruggendo interi paesi grandi e piccoli a cominciare dal capoluogo, L’Aquila, provocando 295 vittime e trasformando, in soli 20 secondi, più di 63.500 persone da cittadini a sfollati, molti senz’altra ricchezza della propria vita avendo perso praticamente tutto.  Immediatamente il piano di emergenza della Protezione Civile nazionale si è messo in moto e di conseguenza il volontariato, ad iniziare dalla nostra Associazione, si è reso disponibile alla partenza per portare aiuto ai fratelli abruzzesi. Naturalmente ognuno di noi agognava partire, ma bisognava rispettare le disposizioni della Sede Nazionale che si muoveva su richiesta del Dipartimento della Protezione Civile Nazionale che dosava gli aiuti.



Poi finalmente venerdì 10 è arrivata l’autorizzazione alla partenza ed è così che nel tardo pomeriggio di Pasqua ci siamo ritrovati in 16 volontari presso il 3P di Cesano Maderno dove i mezzi erano già stati approntati con destinazione proprio il capoluogo abruzzese.

Partenza puntuali e viaggio interminabile, anche perché nelle aree di servizio autostradali erano previsti gli appuntamenti con i volontari delle Sezioni di Pavia e Varese che si sono uniti alla nostra colonna imprimendo un’andatura forzatamente ridotta.

L’arrivo alle 5,30 a L’Aquila, mentre iniziava ad albeggiare, ci ha dato da subito un’idea della situazione ed il fatto che ci si trovasse nella periferia lasciava presagire il disastro che si trovava oltre lo sbarramento dei militari che limitava l’accesso alla zona centrale della città. Trovata, non senza una certa fatica, vista la quantità degli accampamenti dentro e attorno alla città, la strada giusta, prima delle 6 facciamo il nostro ingresso a quello che sarebbe stato per la settimana successiva la nostra base operativa: il “Campo Globo” dal nome dell’adiacente Centro Commerciale e sin da subito quelle che vediamo attorno a noi sono facce scoraggiate di gente che oramai da una settimana ha iniziato a rendersi conto che la propria vita è inesorabilmente cambiata.

L’incontro sotto il tendone mensa con il responsabile del campo, alpino della Sezione di Bergamo alla quale abbiamo dato il cambio, serve a farci avere un quadro di quelle che saranno le nostre incombenze “manuali” senza dimenticare il fattore psicologico che ci porterà ad essere a contatto con persone che versano in un particolare stato emotivo; questa volta non saremo chiamati ad operare manualmente “sul campo”, ma saremo a servizio della popolazione. Prendiamo immediatamente possesso delle tende assegnateci per  metterci le tute da lavoro e notiamo con stupore che le nostre “abitazioni” sono completamente diverse da quelle alle quali eravamo abituati, per intenderci non si tratta delle solite “Ministeriali” con telaio in ferro e un semplice catino che isola da terra che avevamo montato in Albania e nelle Marche: queste sono tutte autogonfiabili, con un telo molto spesso, impianto luce autonomo con luci singole indipendenti, centralina elettrica interna, calorifero e bocchettone per eventuale attacco di termoconvettore.

A detta di tutti questa, forse perché gestita dall’A.N.A., è la tendopoli migliore e riesce ad accogliere circa 1,100 persone grazie anche alle due mense, aperte a tutti, allestite con maestria dai militari del 33° Reggimento Artiglieria Terrestre ACQUI e dai Fucilieri di Marina del Reggimento San Marco che sfornano più di 4.000 pasti al giorno.

L’incarico che ci vede da subito attivi riguarda l’allargamento del campo con il montaggio di nuove tende, lavoro questo che si protrarrà fino all’ultimo giorno, perché l’affluenza della gente è continua e, passati i primi giorni, le famiglie tendono a riunirsi anche se è difficile trovare la normalità in una situazione fuori da ogni ordine e logica che ti costringe a dividere spazi, bagni, servizi con gente sconosciuta; il concetto di privacy è qualcosa di alieno. Nella pausa pranzo mi guardo intorno, vedo facce e sento dialetti che probabilmente dalla prossima settimana non vedrò più, sconosciuti che sono qui per aiutare sconosciuti, disposti a donare la propria opera per alleviare le pene di altri, anche in questo caso gli italiani hanno dato prova della loro solidarietà.

Nel pomeriggio, mentre lavoriamo non posso fare a meno di notare che, malgrado tutto la vita continua e che, con le montagne innevate che ci circondano, i bambini giocano a pallone e corrono in bici tra le tende dalle quali provengono voci e suoni della televisione; potrebbe essere un qualsiasi pomeriggio di Pasquetta. Mentre nei giorni successivi affrontiamo i problemi più disparati, come il trasformare 4 monoblocchi di W.C. in docce con tutti i nuovi impianti, si cerca di fornire a questa gente delle piccole comodità che normalmente si danno per scontate come l’arrivo del dentista o i ragazzi del luogo che si travestono da pagliacci e giocolieri per far divertire i bambini.

Purtroppo la terra continua a tremare e nella notte una scossa di 4,8 gradi scuote i nervi già scossi di chi ha dovuto vivere (se si può chiamare vita) per più di 4 lunghi mesi andando a dormire vestito, con le valige alla porta e l’auto sotto casa, quasi nell’attesa del mostro che doveva arrivare ma che, arrivato, non se ne vuole andare.

Mercoledì vengo accorpato, con altri 4 autisti di pulmino, per un giorno ai Vigili del Fuoco con il compito di trasportare i Vigili nei cambi turno. Raggiungo di buon ora Coppito dove si trova la Scuola dei Sottufficiali della Guardia di Finanza, diventata tristemente famosa agli occhi di tutti apparendo in ogni TG in quanto designata quale Centro Operativo dei soccorsi e dei VV. F.; è l’ora dell’inizio dell’attività di soccorso e vengono distribuiti gli incarichi alle squadre che si suddividono su una quantità impressionante di mezzi come mai avevo visto, sento dialetti e cadenze di ogni parte d’Italia, ma anche lingue straniere di operatori che devono assicurare un continuo ricambio di personale per assicurare un servizio continuo. La macchina dei soccorsi è pienamente operativa e ad ogni squadra viene assegnato una località specifica con un compito stabilito: agibilità, controlli strutturali ecc. Dal coordinatore Tarabini vengo inviato a L’Aquila in via XX Settembre all’imbocco dela zona rossa per mettermi a disposizione del responsabile dell’UCL Umbria, Simoni, incaricato di gestire gli accessi dei cittadini che, accompagnati da una squadra dei VV. F., cercheranno di recuperare quel che si può dalle proprie abitazioni.

Osservo questo spaccato di umanità che cerca un contatto con una vita passata e stringe il cuore vedere speranze il più delle volte deluse. Ci sono tanti giovani che chiedono di arrivare alla crollata Casa dello Studente per recuperare libri e quaderni frutto di anni di studio o cose personali, chi cerca documenti e valori; viene gentilmente, ma con fermezza, fatto notare a una persona che l’eventuale recupero di un criceto passa in secondo piano rispetto ad altre priorità. Rientra una squadra e un Vigile consegna al Capo UCL un foglio rimasto attaccato alle ruote del suo mezzo: si tratta di un diploma scolastico che viene messo tra i documenti ritrovati, un altro pezzo di vita di una persona che, ci auguriamo, possa tornarne in possesso.          Accompagnando i Vigili alle case, mi rendo conto che, altra cosa fatta da loro notare, la situazione igienico-sanitaria non è da sottovalutare, infatti dalle case, alle quali è stata giustamente interrotta da 9 giorni l’erogazione di gas e luce, l’odore del cibo in decomposizione è forte. Rientrando al campo la sera costeggio diverse tendopoli e mi accorgo che tutte sono costituite dalle classiche ministeriali e, a volte, addirittura da canadesi; la sistemazione di questa gente, specie gli anziani, è oramai cosa prioritaria. Altro giorno e nuovi lavori, stavolta dobbiamo predisporre delle pedane per il passaggio tra le tende delle carrozzine per i disabili con problemi psichici presenti al campo che fanno parte di un gruppo di una quarantina di appartenenti ad una comunità che è rimasta a sua volta sfollata, ulteriore elemento di criticità nei rapporti tra gli ospiti del campo. Verso mezzogiorno vengo inviato da Paolo, il nostro rappresentante del Dipartimento al campo, dal suo collega che gestisce il campo in Piazza D’Armi in centro alla città per ritirare alcuni scatoloni di vestiario per bambini, ed arrivato mi si presenta una situazione alquanto paradossale: vedo infatti quasi più volontari che sfollati e non tutti stanno dandosi granché daffare.   Alla mia domanda su come stanno andando le cose li, mi sento rispondere: “Di’ a Paolo che gli è andata di lusso, a me mica hanno dato gli alpini, li ho chiesti, ma niente; a quest’ora avrei già sistemato tutto”. Con tutti gli auguri che posso fargli, non nascondo che, malgrado anche dagli organi di stampa e televisioni si faccia di tutto per mostrare meno cappelli alpini possibile, gli addetti ai lavori conoscono il nostro modo di operare ed apprezzano il nostro impegno. In serata, emergenza nelle emergenze, stanno portando via le due autobotti che garantiscono l’approvvigionamento idrico di acqua potabile nel campo e solo l’intervento deciso di Carraro e Paolo raggiungono il compromesso di farne rientrare almeno una. Venerdì finalmente vengono spostate nella giusta posizione gli ultimi due box docce, approntati i nuovi impianti di luce, scarichi, tubature varie infilandosi sotto le strutture, messi i pavimenti antiscivolo all’interno e nelle zone di accesso, mentre alcuni volontari di Bergamo appena arrivati piazzano una serie di lavelli per l’igiene personale. Dopo il pranzo una scappata per bere il caffè al vicino centro commerciale mi procura un leggero disagio vedendo che per tutta la gente presente il fatto che a pochi metri di distanza ci sia una intera comunità in precarie condizioni non impedisce di condurre la solita vita, ma forse è per noi che questo periodo è stato particolare. Ultima sera al campo, doveva succedere prima o poi: alla fine della cena consumata dagli amici della Marina iniziano battute tra noi e i Marò e, complice qualche bottiglia miracolosamente spuntata e un salame che casualmente si trovava nei paraggi inizia uno scambio canoro – culinario che si trasferisce all’esterno della mensa dove, alpini da una parte e Fanti di Marina dall’altra ci si esibisce nei rispettivi repertori canori con il Signore delle Cime che conclude la serata dopo che da tutti i presenti, ospiti compresi, è stato cantato l’Inno Nazionale. L’ultima mattina (per alcuni di noi) ci vede schierati tutti insieme per la cerimonia dell’Alzabandiera in maniera molto semplice ma sentita, al termine della quale il Comandante del Reparto ci ringrazia per la collaborazione.

Mentre iniziano ad arrivare gli alpini delle Sezioni di Brescia e Lecco, che ci daranno il cambio, terminiamo di sistemare i le docce che finalmente nel pomeriggio entrano in funzione e mentre mi reco per l’ultimo pranzo verso i tendoni, noto che i militari con le ruspe hanno spianato un tratto incolto e provveduto a piazzare due porte da calcio che, a modo loro, contribuiranno a dare un senso di lento ritorno alla normalità o perlomeno di svago in un contesto anormale. A sera il rientro e, sulla via del ritorno, nelle arre di servizio raccogliamo da automobilisti cenni di simpatia e ringraziamento per quanto abbiamo fatto e questo, col sorriso delle persone che abbiamo lasciato a L’Aquila è il pagamento più bello. La prima notte nel mio letto non posso fare a meno di pensare a quanto sono fortunato ed auguro finalmente un po’ di serenità a questi nuovi amici che ne hanno tanto bisogno.

 

Franco Maggioni


 
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di ylq il
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