A PROPOSITO DI TERREMOTO
Questo articolo non è farina del mio sacco ma è soltanto un riportarvi ”paro paro” un’esperienza del mio amico, quello dell’altra volta. Questo articolo a me è piaciuto molto. Il racconto è anticipato da considerazioni e o ricordi suoi personali espressi similmente a quattro chiacchiere fra amici seduti al bar magari davanti ad un bicchiere di vino.
NELL’ORTO DI SAN QUIRICO
San Quirico (Assisi) rimane un capitolo indimenticabile della nostra vita, della mia vita. Mille storie, mille aneddoti, qualcuno anche un po’ drammatico, che successe che più di una volta dovemmo far visita all’ospedale di Assisi. Quello che ci capitò il giorno dell’inaugurazione, per esempio alle Clarisse non lo raccontammo mai. I ricordi si mescolano al ricordo degli alpini che non ci sono più, e sono tanti ormai. Ricordo la domenica che scendemmo in massa e nell’Appennino fummo investiti da una bufera di neve. Una bufera terribile, alla radio raccomandavano di stare tutti a casa, che le strade erano impraticabili e pericolose, e gli alpini via imperterriti tra l’uragano con i loro carichi, i loro furgoni.
Ricordo quegli alpini che per lavorare a San Quirico si erano presi ferie. Il mio amico Ezio era partito per Assisi alle tre di una domenica mattina e a Porto Viro la polizia lo aveva fermato, appostata dietro ad una curva per “castigare” il popolo della notte e gli avevano ritirato la patente. A San Quirico si incrociarono il mondo delle clarisse e quello degli alpini. Due mondi lontani, scoprimmo poi che erano tante le cose che li accomunavano. A Celestino l’incontro con le suore cambiò la vita. Sul letto di morte vaneggiava che doveva mettersi in viaggio per Assisi, a sistemare il pozzo del monastero. A San Quirico si fece le sue due settimane anche Giacomino, papà di Mary. Lo stesso poi partecipò anche ai lavori del monastero di Gubbio, impegnato con la carriola, che mi è rimasto ancora un mistero. Finiti i lavori mi accorsi che il sottoscritto, che su proposta di padre Claudio, aveva ideato il tutto, non aveva mai preso in mano un pala o un martello, e a San Quirico non aveva dormito una notte. Non era giusto mi ripetevo. Cosi mi inventai una giornata di lavoro ad Assisi nell’orto del monastero. Celestino coinvolse quindi un suo amico marmista, tale Serafin, da lui battezzato Sarafa. Non ci volle molto a Sarafa creare l’opera. Si trattava di tessere di pietra bianca e nell’angolo in basso a destra un cappello verde con nappina rossa. Quel minuscolo cappello alpino avrebbe rappresentato la firma a tutta la nostra opera nel monastero. Sarafa era un’artista. Era peraltro un personaggio generoso, simpaticone, amante della compagnia, ciarliero. Parlava che nessuno lo fermava, anche se si faceva fatica a capirlo, dal momento che masticava le parole. Ma le bestemmie no, quelle erano chiare, limpide e salivano al cielo altisonanti. E’ questo un difetto dei Veneti, specie quelli che operano nell’edilizia. Era un 11 agosto, l’anno non lo ricordo, quando arrivammo ad Assisi con la nostra piccola opera d’arte. Durante il viaggio Celestino si raccomandò di stare attenti a non sparare sacramenti, che eravamo in un convento di suore di clausura. Sarafa farfugliò che non ci sarebbero stati problemi. Giunti al monastero aprimmo il nostro piccolo cantiere nell’orto. Prima di assicurare il piano marmoreo, bisognava sistemare il sottostante tubo dell’acqua e quello della corrente. Al sottoscritto venne assegnato il compito di portare la malta con la carriola. Attorno a noi stavano tutte le clarisse del monastero, 17 figure angeliche che assistevano mute e curiose. Anzi 16, una suora un po’ fuori con la testa ( forse molto anziana e malata, succede anche alle suore) se ne stava chiusa nella sua cella e ogni tanto delirava con gemiti improvvisi, o qualche giaculatoria appena sussurrata o improvvisando nenie sconosciute. Giunse il mio turno e arrivai con il mio bel pieno di malta. Nello svuotarla piantai la barra della carriola giusto sopra il tubo dell’acqua e il nastro con i fili della corrente. Sarebbe stato un danno irreparabile. A Sarafa si rizzarono i capelli e partì un “Dio …"Nell’orto scese il panico, un silenzio tragico, due secondi che parvero infiniti, si zittì anche il variegato mondo di suoni che popolano un orto, tacque anche la vecchia suora confinata nella cella che dava sull’orto. “ Dio ( poi due secondi, solo due secondi, due secondi, un’eternità) … buono “. Rivedo ancora le clarisse, con i loro volti sereni e angelici, Suor Francesca, suor Giovanna, Benedetta, Chiara. Me la sono riletta diverse volte quest’avventura al punto tale che come il mio amico rivedo ogni volta Suor Francesca, Suor Giovanna, Benedetta, Chiara. P.S. Per chi fosse interessato vedere su Google: gli Alpini della sez. di Conegliano e le suore Clarisse di San Quirico di Assisi.
Pio