CON GLI ALPINI SI E' PARLATO DELLE FOIBE (Marzo 2009)
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San Vittore - Con gli alpini si è parlato delle foibe

Alla sede degli Alpini di San Vittore Olona, venerdì sera 6 febbraio, si è tenuta una conferenza per ricordare il dramma vissuto da molti italiani nelle zone carsiche negli anni quaranta. Il relatore, professor Giancarlo Restelli, docente dell’Itis Bernocchi di Legnano, ha intrattenuto i presenti su un argomento pressoché sconosciuto sino a pochi anni fa, quello dell’infoibamento di migliaia di italiani effettuato dai partigiani comunisti di Tito nella zona al confine con l’ex Jugoslavia.

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Nelle oltre 1.500 foibe censite nella zona del Carso, usate in passato dagli abitanti per gettarvi ogni sorta di oggetti oppure le carogne degli animali morti, durante e dopo la seconda guerra mondiale furono gettati molti funzionari del governo fascista italiano accusati di aver avuto un ruolo di grande responsabilità nelle persecuzioni nei confronti delle popolazione locale in prevalenza formata da croati o sloveni.
Altri italiani furono infoibati nei sessanta giorni, dopo la fine della guerra, durante i quali la città di Trieste restò sotto il controllo dei partigiani slavi di Tito, il cui intento era quello di annettere Trieste e le zone circostanti alla Jugoslavia.    
Uno dei luoghi in cui avvennero gli infoibamenti fu un pozzo minerario situato vicino a Trieste. Questo pozzo, nel quale furono gettate migliaia di persone, fu scavato nel XX secolo, è impropriamente chiamato foiba in quanto non si tratta di una delle molte cavità naturali delle regioni carsiche, è quello di Basovizza. Profondo 255 metri il pozzo fu usato dai partigiani di Tito nel maggio del 1945 per gettarvi coloro che erano contrari al loro progetto. Alle vittime, condotte nei pressi della foiba, venivano bloccati i polsi e i piedi con del filo di ferro, e venivano gettate nelle foibe ancora vive. 
Purtroppo nessuno è in grado di affermare quante persone furono gettati nelle Foibe, molte di queste sono situate in luoghi irraggiungibili mentre altre sono state scoperte dopo oltre sessant’anni rendendo  praticamente impossibile un calcolo esatto dei morti. Approssimativamente si può parlare di 6.000/7.000 persone uccise in quel barbaro modo, e nel corso degli anni questi martiri sono stati completamente dimenticati. La storiografia, lo Stato italiano, la politica nazionale e la scuola hanno completamente cancellato il ricordo ed ogni riferimento di chi è stato eliminati per il solo motivo di essere italiano o contro il regime comunista di Tito.
Nel 1980, in seguito all’intervento delle associazioni combattentistiche, patriottiche e dei profughi istriani, fiumani e dalmati, il pozzo di Basovizza e la Foiba n. 149 furono riconosciute monumenti d’interesse nazionale. Il pozzo di Basovizza divenne  il memoriale per tutte le vittime degli eccidi del 1943 e 1945, ma anche il fulcro di polemiche per il prolungato silenzio e il mancato omaggio delle più alte cariche dello stato. Tale omaggio giunse nel 1991, anno in cui si verificò la dissoluzione iugoslava e dell’Unione Sovietica, quando a Basovizza si recò l’allora presidente della repubblica Francesco Cossiga, seguito due anni più tardi da Oscar Luigi Scalfaro, che nel 1992 dichiarò la Foiba di Basovizza “monumento nazionale”.
 
                                                                                                                                                        Giacomo Agrati

 







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