Foto di ONNA completamente distrutta dal violento sisma dello scorso aprile.

Due perché dopo la prima esperienza di maggio ho avuto l’opportunità di ritornare in quella terra d’Abruzzo martoriata dal terremoto. Stesso campo " il Globo" alla periferia dell’Aquila gestito per la totalità dall’ANA. Il gruppo dei volontari, non quello della volta precedente, si è affiatato da subito coeso dallo spirito che caratterizza gli iscritti all’ANA. Ho ritrovato la stessa gente alloggiata nelle tende piazzate a mo’ di accampamento militare, ho riascoltato i vecchi discorsi ormai sempre più attuali: il ritorno nelle proprie abitazioni oppure l’assegnazione dei nuovi fabbricati e, come direbbero i nostri veci con l’inverno alle porte … arivarem a baita? .. Riconfermo, se ce ne fosse bisogno, l'assoluta assenza di lamentele intrise di sfiducia nei confronti dello stato, degli aiuti prestati dall'esercito e dai volontari della protezione civile operativi dopo solo due ore in quella terribile notte d'aprile.

Permane costante la paura d’essere abbandonati, dimenticati: L’Aquila deve tornare a volare nel più breve tempo possibile con le proprie ali arrivando così all’autosufficienza, all’autonomia. Cosa ho fatto, abbiamo fatto, in questo secondo turno non è niente di eroico e principalmente allontaniamo l’immagine del volontario-rambo, sprezzante del pericolo, intrepido salvatore di vite umane. E’ cessato quel periodo che lo stato e la protezione civile definiscono emergenza: noi come volontari siamo stati impegnati e lo siamo tuttora nel gestire la normalità della vita del campo, nel contempo ci si deve confrontare giorno dopo giorno con la popolazione costantemente in emergenza. Sembra strano ma questo lo dovete chiedere a famiglie e/o persone rimaste fortunatamente in vita ma soltanto con le ciabatte e il pigiama di quella notte … evidentemente sarebbe miracoloso essere ottimisti e pieni di buona volontà e fiducia dopo una batosta del genere … A noi fortunati senza alcun merito è pressoché impossibile immaginare cosa significhi dipendere dall’aiuto di tutti, dall’essere costretti a richiedere il supporto dei pompieri per poter entrare nelle proprie case o di quello che rimane e poter recuperare il salvabile. Lo si vede già dalla strada l’interno del proprio appartamento o casa. Attraverso i muri sventrati ecco la camera dei bambini,i libri, i loro giochi, la cucina scomparsa nel bagno, gli armadi con le ante tutte sbilenche spalancate dalla forza del terremoto, ci sono i vestiti sugli appendini, i lampadari, appesi miracolosamente, si muovono ad ogni soffio di vento: può succedere che si possa attribuire alla persistenza di costanti e piccole scosse … dicono che si tratta di assestamento … non si può entrate e men che meno salire perché la tromba delle scale non esiste anche se qualche gradino è rimasto appeso ai muri: ci vuole la scala mobile … bisogna aspettare … purtroppo è la cruda verità. Casualmente lo sguardo si sposta nel vicino fabbricato, verso i box al piano terra e là sotto intravedi un’auto schiacciata come una sottiletta. Eppure il condominio sembra intatto: oddio c’è qualche crepa lungo tutta la sua altezza ma quel piano là sotto non c’è più. I pilastri portanti sporgono all’esterno delle mura condominiali e, di conseguenza tutta la costruzione si è abbassata, in blocco, di un piano. E pensare che di notte L’Aquila sembra quella di sempre: un bel presepio ricco di luci. Nel mio secondo turno ancora una volta mi sono trovato vicino a queste persone, ai loro piccoli e grandi problemi, capaci di chiederti delle stupidaggini che ti spiazzano e nel contempo ti invitano cordialmente a bere un caffè con loro nell’atrio della tenda, il loro salotto buono: ci sono anche dei vasi con i fiori, il posto per il cagnolino, vicino c’è il catino sotto i panni stesi al sole … non ci si può accomodare all’interno: là ci sono i letti, magari di due famiglie, ultima ed estrema privacy. Alcune famiglie hanno scelto di tenersi ed accudire i propri anziani allettati o con problemi di deambulazione. Per finire, dentro c’è un caldo infernale nonostante i condizionatori in funzione mentre all’esterno la temperatura permane sui 35/38 gradi: più avanti qualcuno ha scovato un po’ di ombra e sta studiando perché gli esami universitari incombono. Eccoci allora armati di scope, carriole, passiamo fra le tende controllando che lo spazio in comune funzioni, lampadine, docce/servizi, i tiranti delle tende ben tesi, un’ occhiata ai filtri dei condizionatori … c’è anche il disabile che si è addormentato seduto davanti alla tenda ma con la sigaretta accesa fra le dita … mentre ci sta pure qualche benevolo "scappellotto" a quei ragazzini che non ne vogliono sapere di entrare nella tenda/asilo. Ecco una sbirciatina sull’operato dei volontari e l’elenco potrebbe continuare con l’idraulico, l’elettricista, il tuttofare. Noi eravamo, siamo lì per condividere le difficoltà e dar loro una mano affinché non si possa spegnere quella piccola luce di speranza là in fondo al tunnel fatto di paura e di quel domani che finora non è segnato in nessun calendario!!

P.S. Per dovere di cronaca fa male al nostro rientro sentire commenti del tipo … si dovrebbero dare una mossa … troppo comodo, ecc. ecc. Un saggio proverbio indiano recita: prima di giudicare un altro indiano devi camminare almeno quindici giorni con i suoi mocassini. A buon intenditore!!

Pio